L’Intrusa, una piacevole sorpresa nel desolante panorama cinematografico italiano

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L’INTRUSA di Leonardo Di Costanzo                                                                                                                                     VOTO 7

Era da tempo che un film italiano non convinceva e non sorprendeva così tanto. Presentato e applaudito lo scorso maggio al Festival di Cannes nella sezione Quinzaine Des Realisateurs, L’Intrusa è il secondo lungometraggio di finzione di Leonardo Di Costanzo, regista ischitano con all’attivo un’apprezzabile carriera da documentarista.

Il plot del film è semplice e lineare, come tutte le storie tipiche della tradizione del realismo cinematografico, da Roberto Rossellini a Ramin Bahrani, da Ken Loach ai Fratelli Dardenne. Maria, moglie di un boss e madre di due figli, abita in un casotto che le è stato messo a disposizione dai gestori dell’attigua Masseria, un centro sociale e ricreativo del napoletano nato per togliere i ragazzi dalla strada e riabilitarli in società. Quando il boss viene arrestato, Giovanna, l’infaticabile operatrice del centro ignara delle attività criminali dell’uomo, si ritrova suo malgrado a fronteggiare da un lato l’ostracismo delle mamme che temono per l’incolumità dei loro figli nel centro, e dall’altro l’intrusione della stessa Maria, che dopo l’arresto del marito fa inaspettatamente ritorno al casotto in cui si era installata per gentile concessione di Giovanna stessa.

La forza della scrittura drammaturgica di Di Costanzo consiste nell’aver piazzato non tanto un conflitto esteriore forte e ben riconoscibile tra i vari personaggi, ma anche e soprattutto un conflitto interiore nel personaggio più interessante, Giovanna. Infatti, la smunta ma battagliera responsabile del centro cerca per tutto il tempo le ragioni che possano rendere accettabile agli altri la presenza di Maria nella Masseria, ma si trova costretta a lottare con un dilemma etico di proporzioni cosmiche: mandarla via, fregandosene così del destino dei suoi bambini e contraddicendo il suo stesso operato, o lasciarla lì, proprio per il loro bene e perché, come dice sempre, i bambini sono tutti uguali? A quanto pare siamo davanti a un dramma insolubile, come nella tragedia greca, di cui Giovanna sarebbe una sorta di Antigone contemporanea. E a confermare l’ipotesi che alla domanda di Giovanna non possa esserci una soluzione univoca è lo stesso regista, che in un’intervista dichiara apertamente di non aver voluto prendere posizione e che tutti i personaggi del film hanno le loro valide ragioni per comportarsi in un certo modo.

Ma l’audacia del film prende corpo proprio nel finale, laddove il regista assesta il colpo di grazia decidendo di spostare il peso di tale dilemma etico da Giovanna alla deuteragonista Maria. Sarà lei, infatti, a prendere la situazione di petto e a compiere una scelta definitiva e inaspettata, sorprendendo lo spettatore e lasciandolo per certi versi smarrito e in parte anche insoddisfatto. Tant’è, ma all’uscita dalla sala le osservazioni e i pensieri che si manifestano nella mente dello spettatore sono tanti e di diversa natura. Innanzitutto, per ciò che concerne propriamente la storia e l’argomento trattato, il film si guarda bene dallo scivolare in un risibile scimmiottamento da pseudo spin-off di Gomorra il film e Gomorra La Serie per il solo gusto di cavalcarne l’onda mediatica. Infatti, non sono le sparatorie e i conflitti shakespeariani tra consanguinei a interessare il regista Di Costanzo. A farla da padrone qui è il dilemma interiore di personaggi che si affrontano e si scontrano a colpo di sguardi e di parole spesso non dette. Considerato il tema e l’ambientazione dell’Intrusa, sarebbe stato fin troppo facile cadere nell’imitazione di cattivo gusto, quando non addirittura nel calco di tutti quei film e prodotti audiovisivi infarciti di stereotipi che sembrano urlare da lontano: “Napoli è così: camorra, mala gente, sangue e sparatorie!”. E invece la Napoli raccontata e rappresentata da Di Costanzo sullo schermo è, sia da un punto di vista narrativo che stilistico, uno scorcio partenopeo misconosciuto ai più, una periferia circondata da una ragnatela di palazzi che si ergono a creare un microcosmo epurato da ogni cliché, dove a dare la giusta spinta in avanti al racconto è unicamente il conflitto tra i personaggi e lo spazio esiguo in cui si muovono.

A tale rappresentazione contribuisce il minimalismo della messinscena e la direzione di attori capaci di restituire sullo schermo tutta la verità dei loro drammi insolubili e delle loro scelte sofferte. E soprattutto niente frasi biascicate goffamente da attori non in parte. Niente bisticci e scaramucce da quattro soldi con tanto di urla fastidiose. Un clamoroso successo, se si considera che a recitare sono perlopiù dei non professionisti. Anche la straordinaria Raffaella Giordano, che interpreta l’indomita Giovanna, è alla sua prima prova attoriale, che si rivela davvero notevole.

Ma più di ogni altra cosa L’Intrusa è un film privo di quegli autocompiacimenti formali e di quelle inutili masturbazioni della macchina da presa che tanto avvelenano i film italiani pseudo-autoriali degli ultimi anni. In questa pellicola si va dritti al punto, senza fronzoli e senza retorica spicciola. Per una volta le scelte stilistiche da cinema verité e l’impianto neorealista creano un connubio perfetto con l’argomento trattato e la materia narrativa. Insieme alla sua opera prima, L’Intervallo, questo film è un notevole esempio di come il lascito cinematografico dei nostri padri neorealisti e di una certa direzione del cinema mondiale nata più di un secolo fa con i Fratelli Lumiére non siano affatto svaniti nel nulla, e che anzi possono all’occorrenza essere recuperati e asserviti a un certo tipo di racconto che si presta bene a tale approccio estetico.

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