Come cambia il mestiere di giornalista

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Volevo raccontarvi come è cambiato, in peggio, questo bellissimo mestiere. Non ci sono più i grandi inviati, quelli che ci raccontavano cosa accade nelle varie parti del mondo osservando le situazioni con i loro occhi. Tagli al budget, ottimizzazione delle risorse hanno trasformato la professione di giornalista in una sorta di “taglia-incolla” delle notizie che arrivano dalle agenzie. Questo mestiere vede un altissimo numero di disoccupati e un numero ancora più alto di collaborazioni a termine, pagati a cottimo.

È in atto una corsa verso il basso di questa professione. Una corsa iniziata molti anni fa, e che procede di pari passo con la diffusione delle nuove tecnologie. È un’involuzione silenziosa e paradossale: più si estende l’uso e la fruizione di tecnologie di comunicazione sempre più raffinate e ramificate, più l’informazione tende ad uniformarsi, ad omologarsi, ad apparire noiosamente ripetitiva.

Sempre meno i giornalisti raccolgono informazioni sul posto dove avviene un fatto notiziabile. Questa “latitanza” è generalmente attribuita alla crisi economica che morde un po’ in tutti e che costringe le società editrici a limitare al minimo le trasferte.

Oggi, stando comodamente seduti nella propria redazione o ancor più comodamente a casa propria, si può seguire su internet la diretta di tutto quel che avviene attraverso un computer o una televisione. Potenza dello streaming, di Twitter e di Facebook! Tutti hanno accesso a tutto. Peccato però che sia un’illusione. Perché quella immensa mole di informazioni che ogni giorno arrivano nelle nostre case e si depositano nel nostro cervello non sono la rappresentazione della realtà, ma spessissimo un’immagine deformata e di comodo della realtà: un’immagine che, ripetuta ossessivamente da tv, radio, giornali, blog, social networks finisce per diventare la realtà.

Il solo modo è tornare all’antico, cioè al contatto diretto del cronista con gli avvenimenti. Se si sta sul posto, si ha la possibilità di “respirare” l’evento al quale si assiste, di farsi raccontare indiscrezioni, retroscena, curiosità, arrivando magari qualche volta anche a scoprire che le cose non stanno proprio come l’ufficialità le aveva rappresentate e come il circuito mediatico omologato le aveva replicate migliaia di volte. Solo attraverso una presa diretta con i fatti quindi si è nelle condizioni di raccontare in modo originale la nostra visione dei fatti.

Perché fra l’informazione stereotipata ed elettronica e l’informazione “vissuta” c’è la stessa differenza che c’è fra un amico di Facebook, e un amico vero in carne ed ossa.

Una ricerca del docente Scott Reinardy mostra come negli Stati Uniti ci sia una grande percentuale di giornalisti insoddisfatti del proprio mestiere e che vorrebbero cambiare settore. Secondo il Center for desease control, il mestiere giornalistico sarebbe al settimo posto nella speciale classifica dei lavori più stressanti ed usuranti. I fattori che maggiormente contribuiscono a questo dato sono lo stress, il cinismo che accompagna ogni aspetto della vita da redazione e, ovviamente, lo stipendio troppo basso.

Se quest’indagine fosse stata condotta in Italia, con ogni probabilità, i dati riguardo il livello di soddisfazione sarebbero stati ancor più raccapriccianti… 

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